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Fotografare Architetture e Paesaggi Urbani, tra città e periferie


"... nell'indifferenza della politica e dell'architettura colta, un pulviscolo di manufatti solitari ha letteralmente invaso il nostro territorio, spargendosi lungo le strade e i bordi delle città compatta, unendo centri urbani un tempo distinti, arrampicandosi lungo i declivi e arrivando a lambire il mare e i fiumi".
Questo scriveva l'Architetto Stefano Boeri, nel testo di presentazione al progetto "Sezioni del paesaggio italiano" realizzato assieme al fotografo Gabriele Basilico, per la Biennale di Venezia del 1996 - VI Mostra Internazionale di Architettura.

Quando iniziai a fotografare architetture e paesaggi urbani, la mia preoccupazione era riuscire a renderli puliti, cercando di eliminare tutto ciò che non apparteneva al soggetto, fili elettrici, pali della luce, automobili. Ero fortemente interessato solo alla forma degli edifici, alle facciate, agli angoli, alle superfici, alle profondità dei volumi, alle differenze di linguaggio dei manufatti.


Poi mi resi conto che l'architettura è un progetto vivo e vitale, fatto per essere vissuto e quindi, per sfuggire all'idea asettica del progettista, per essere personalizzata da chi lo vive quotidianamente; inserito nella vita del quartiere e della città, con la sua personalità, ma metabolizzato dal luogo dove vive, integrato e personalizzato da chi lo vive.
Il mio lavoro ha una forte relazione con questi aspetti e non credo debba essere inteso come documentazione rigorosa e/o scientifica. Piuttosto, come un libero tentativo di attraversamento di un'esperienza problematica e senz'altro critica della vita vissuta e delle trasformazioni sociali ed antropologiche.
Così mi sono interessato anche a tutto quello che sta oltre, fuori dal profilo e dalla massa degli edifici, e che contribuisce al disegno "urbano" dello spazio: la segnaletica stradale, i cartelli, le corsie e le zebre sull'asfalto, le auto parcheggiate in ogni dove, i pali dell'illuminazione e la trama dei cavi elettrici che distribuiscono l'energia, fino alla rete di tubi del gas lungo le pareti e alle manomissioni, più o meno abusive, degli edifici.

Fotografo di Architettura, antropologo, sociologo, filosofo, visionario, autore, racconto osservazioni e visioni, punti di vista, in un moto a luogo, lento, di voyeur dell'abitare quotidiano.

Quindi, la mia percezione dello spazio è inedita e personale: legata certamente allo sguardo, ma anche al camminare, al muovermi fisicamente, alla ricerca di un punto di ripresa espressivo ma anche non scontato. E, cercando quel punto, è per me inevitabile continuare ad accumulare metaimmagini e metapensieri che producono non immagini definite, ma ipotesi di immagini. Così mi muovo come un rabdomante alla ricerca di una sorgente, sulla scorta di un'ipotesi che mi consente di leggere comunque il sistema delle sorgenti in generale. E' un processo continuo di ricerca e sperimentazione, che alla fine restituisce l'impressione di assorbire lo spazio e al contempo esserne assorbiti.

Nelle mie opere non sono le persone a parlare ed esprimere pareri, ma architetture, paesaggi urbani ed antropizzati, periferie

Ci sono edifici e paesaggi urbani italiani che, grazie alla sapienza di chi li ha progettati ed edificati, assieme alla visione di chi li fotografa, svelano una forma antropomorfa. Nelle architetture sono riconoscibili occhi, nasi, orecchie, labbra, volti che aspettano di esprimersi, di mostrarsi, e questo si rende possibile grazie all'evento rivelatore della luce, nella condizione limite che è l'assenza dell'uomo dal quadro dell'immagine. Nelle architetture è nascosta un anima e una personalità; ci sono architetture introverse ed estroverse, che socializzano con gli edifici circostanti o rimangono isolate. Ma basta la presenza di un uomo a ridare all'architettura il valore scenografico, a dare senso vitale all'architettura e al vuoto. Questo perché il vuoto riempie se stesso e diventa soggetto in sé. Quindi, fotografare l'architettura nel suo complesso, significa fotografare anche il vuoto, non nel senso di una mancanza, bensì come protagonista di sé stesso, con tutto il suo lirismo, con tutta la sua forza, con tutta la sua umanizzante capacità comunicativa, perché il vuoto nell'architettura è parte integrante, persino strutturale del suo essere, solidità che si oppone o integra col pieno.

Come detto, non posso fare a meno di vedere la città come un grande corpo che vive e respira, un corpo in crescita, decrescita, in trasformazione, e mi interessa coglierne i segni, osservarne le forme, indagandone le modificazioni del copro per leggerne la natura. Cerco incessantemente, nuovi punti di vista, e lo sguardo vi cerca un punto preciso di penetrazione.
Certamente ogni area urbana si definisce anche rispetto a ciò che ha intorno, la sua periferia; è in questa dialettica fra interno ed esterno che si può parlare di forma della città.



Mi interessa leggere la dimensione estetica come sublimazione della morfologia. E' per questo forse che il mio interesse e la mia attenzione non sono rivolti alla bellezza in sé, per esempio ai grandi monumenti o all'architettura dei centri storici delle grandi città, ma preferibilmente alla "città diffusa", alle zone intermedie, alle periferie, laboratorio aperto come work in progress, nelle quali, dal punto di vista dell'architettura, la qualità dell'ambiente urbano si diluisce fino a smarrirsi.
Tra le aree periferiche c'è anche l'Italia minore con la M maiuscola, che con le periferie urbane condivide l'abbandono, la vergogna e la carenza di servizi ma, contrariamente a queste ultime mantiene, a dispetto della globalizzazione, identità materiali e immateriali, genius loci caratterizzanti, un'autenticità derivante dalla omogeneità costruttiva dialogante con il territorio che ne fa un giardino emozionale diffuso.



E' indubbio che le periferie sono state per molti anni, prima della seconda guerra mondiale ghetti dalle architetture improbabili dove le popolazioni venivano esiliate, nel dopoguerra, usate come cantiere ideale della sperimentazione architettonica e politica (la legge 167, il serpentone di Corviale a Roma). Molto spesso ignorate e sopportate con insofferenza, quasi vergogna, al pari dei Sassi di Matera. Spesso nelle periferie, luoghi di confine per eccellenza tra città e campagna, le opere dei grandi architetti ingaggiati dalla politica del tempo, che vengono considerate modelli di riferimento della cultura architettonica, si declinano all'infinito in una produzione anonima che ha smesso di dialogare con il contesto circostante, ha perso l'aderenza al territorio e l'identità, azzerando il suo codice genetico.
Questo è il terreno più complesso e cosmopolita dove le città si frantumano socialmente e antropologicamente, creando nuove realtà dai tratti spesso sorprendenti e inattesi.
Luoghi privi di aderenza identitaria, paradossalmente, diventano parte di un tutt'uno globalizzato, da una propria identità, simili, ove non uguali nelle architetture, collegate da storie, sviluppo e problemi comuni, che si iscrivono nel quadro generale della trasformazione sociale del mondo contemporaneo.
Indifferenza e vergogna, due sentimenti ovvi per diversi motivi tra i quali la bruttezza che provoca disagio sociale e psicologico in chi vi abita.



Successivamente, agli inizi del 2000, la politica perde la sua posizione dominante sostituita dall'economia; così pur non avendo risolto i problemi delle periferie dormitorio, un'inversione di tendenza, tipica delle grandi aree metropolitane, ma anche delle medie, la bulimia consumistica e l'idolatria per il denaro, stanno modificando la forma e l'identità dei luoghi periferici, affiancando alle brutte architetture abitative, i giganteschi centri commerciali che moltiplicando la cementificazione, funzionano come cerniera tra diverse aree urbane periferiche dando corpo al fenomeno della cosiddetta città diffusa. Lo spazio urbano viene trasformato dall'economia, in puro spazio commerciale ed espositivo.
Il risultato di tutti gli interventi sulle periferie è sempre e comunque di isolamento e restringimento della visibilità del cielo e dell'orizzonte.

Questo è il campo di azione del Fotografo di Architettura che, innanzi tutto è fotografo "Documentarista"; come tale si sforza di mostrare una realtà comprensibile, riconoscibile, leggibile. Si interessa cioè - restando fedele al linguaggio documentario e convinto della sua inalterata capacità di esprimere un equilibrio e una distanza equa con il mondo esterno - di scansionare luoghi, territori, architetture, tentando di ricostruire un senso possibile tra l'esperienza della visione e lo scenario che gli si pone davanti.

Così, io uso la Fotografia come mezzo d'impegno politico e di cittadinanza attiva, tra bellezza e racconto di visioni, pensieri, riflessioni, proposte; narro la realtà vista e vissuta, emozioni e atmosfere, rendendo concrete, con immagini sinestetiche, le esperienze emozionali materiali ed immateriali che stimolano la mia creatività; tutto filtrato attraverso la sensibilità informata dalla mia cultura onnivora.

Il linguaggio fotografico favorisce una lettura della trasformazione stratificata del Paesaggio Urbano. La foto diventa un documento su cui lo sguardo si esercita per offrire elementi di discussione meno astratti nella lettura del territorio.

Non appongo solo una firma di prestigio, ma mi coinvolgo col mio stile espressivo, il linguaggio interpretativo, denso di soggettività.
Il mio lavoro non è un reportage né una riproduzione di un inventario, quanto piuttosto, testimone visivo, di provare a comporre uno stato delle cose, un'esperienza diretta dei luoghi, affidata a una libera e personale interpretazione.
Uso l'occasione delle campagne fotografiche per organizzare progetti di partecipazione collettiva, eventi finalizzati all'incontro con le cittadinanze, per alfabetizzare e rendere consapevoli i cittadini dei luoghi territori architetture vissute distrattamente nel quotidiano.

La Fotografia induce a meditare e riflettere, arricchisce la mente e lo spirito, evitando l’imbarbarimento di singoli e società. Contribuisce con la bellezza informata, a migliorare “l’estetica e l’etica del quotidiano” e, quindi, la qualità della vita, per un mondo migliore.
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