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Arte e Creatività ai tempi della Crisi Economica ed Etica

Qual'è il significato del fare arte in questo momento di crisi?
Se per qualcuno, con la cultura non si mangia, è pur vero che non si può condannare a morte gli artisti, né si può ridurli al silenzio.
Mentre molte categorie e caste “superiori”, in questi tempi di rivoluzione post industriale, si dibattono per difendere i propri diritti e i poteri acquisiti, spesso a danno di altre categorie sociali, c'è una casta “minore” senza voce e senza diritti da sempre, a disposizione di tutti, per offrire ricchezza immateriale fatta di bellezza per lo spirito, anche gratuitamente, che parla con l'immagine.
Chiediamoci se grazie anche alla crisi economica, non sia giunto il tempo nel quale si possa finalmente superare la gestione privatistica della filiera dell'uso dell'arte, fatta di gallerie, critici, mercanti fasulli e/o prezzolati che hanno fin qui assediato anche gli spazi pubblici influenzandone le scelte.
Il mercato dell'arte, è stato il primo a creare lavoratori precari, privi da sempre di assistenze e diritti. Primo sistema economico a creare speculazioni attraverso prodotti tossici, fatti di scelte drogate dalla smania di denaro, che hanno fin qui promosso e valorizzato pochi artisti, non sempre validi, a danno di tanti altri giovani e non, creando un sistema chiuso e con scarso rinnovamento. Un sistema che ha depresso il mercato stesso, ghettizzandolo, soprattutto per qualità che per l'accesso da parte del più vasto pubblico.

Stefano Coletto, curatore della Fondazione Bevilacqua la Masa di Venezia, in un’intervista sulla crisi, non teme di prendere una posizione netta: "l’Italia non è stata capace di cogliere la transizione fra gli anni ‘80 e gli anni ‘90, un treno irrimediabilmente perso, all’origine del “degrado” di politica e istituzioni: una sofferenza che si rispecchia anche nella società civile). I fondi all’arte e alla cultura: sempre troppi o troppo pochi, in particolare per il settore dell’arte contemporanea..... Per la BLM il problema più grosso è la possibilità di assumere personale in pianta stabile per lo viluppo dei progetti: molto più semplice invece il finanziamento degli eventi e, nonostante la Fondazione abbia il supporto del comune, la via per assicurare una continuità al lavoro è trovare risorse esterne, attraverso partenariati e sponsor privati. Abituati ai tagli, questo 2009 all’insegna della crisi si presenta comunque più difficoltoso…" (leggi l'intervista)

Simona Lodi art director del Piemonte Share Festival: "all’orizzonte, tagli del 50-60% per le iniziative culturali programmate, maestose
strutture (teatri, musei, palasport) che rimarranno deserte perché non ci sono i fondi per gli spettacoli, un imbarazzante vuoto istituzionale alle domande degli operatori culturali che chiedono di conoscere i criteri di decurtamento e la logica di ristrutturazione dell’intervento pubblico per far fronte alla crisi…" (leggi l'intervista)

D'altronde in tempi di crisi è fin troppo facile abbandonarsi alle solite “filippiche” sul mercato dell’arte, l’ingiustizia sociale e l’arte solo per ricchi, mentre più sensato è forse interessarsi al mercato, dilatarne l’autoreferenzialità e trasformarla in coscienza critica.
L'arte è figlia della creatività, e la creatività può e deve aiutarla a trovare nuove soluzioni per raggiungere nuovi pubblici e nuovi mercati attraverso l'uso di nuovi mezzi e spazi grazie alle nuove tecnologie, internet, blog, gallerie 2.0, social network.
Per andare oltre il rumoroso dibattito sul saliscendi dei prezzi, si può diffondere l'arte attraverso l'uso di materiali più poveri e venduti a prezzi molto più modici. Repliche degli originali utilizzati per la realizzazione di oggettistica, merchandising da vendere nelle fiere e online attraverso il web.
Ancora, produrre arte introducendo la dialettica del “crea e vendi" in bancarelle all’interno del microcosmo fieristico, che non faticherebbe a trovare compratori; il risultato, un sold out che supererebbe in audacia qualsiasi altra vendita milionaria. Un sistema che non sarebbe, infatti, solo il segno di una rinnovata confidenza col mercato, ma anche di una nuova attenzione nei confronti di un’arte che rifiuta lo status di oggetto di lusso. Un’arte pronta a svendersi pur di interagire criticamente con gli andamenti del mercato, che non solo è pronta a resuscitare dalle ceneri dalla crisi finanziaria, ma di questa si nutre e trova giovamento.

Altro esercizio creativo, la pratica collaborativa tra arte e impresa, che porti a lavorare con figure del mondo scientifico, con businessmen non convenzionali, con università, con altri artisti, anch'essa vista in funzione strumentale. Ossia produrre un’idea, una tecnologia, un metodo, che possa essere usato indipendentemente dal contesto (artistico) nel quale è stato creato (ad esempio Illy caffè arte, Benetton con Fabrica, ecc.).

L'Arte, riprendendo metodi psicologici usati nel marketing e da certa propaganda, con il pretesto di lavarne via le angosce, invita a riflettere sul modo in cui fatti concreti vengono veicolati e recepiti: fino a che punto fenomeni finanziari di largo respiro che riportano  possono influenzare la vita della gente comune? Qual è il loro ruolo nell’immaginario collettivo e come il linguaggio con cui sono descritti può modificare gli stati d’animo delle persone?
Fare arte vuol dire produrre strumenti che generano dibattiti, ripensamenti sulla possibilità e necessità di una decrescita e di una riumanizzazione che vada oltre l'economia riscoprendo lo spirito, investendo in capitale culturale, rifiutando l’idea dell’opera d’arte come oggetto di consumo.

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