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Lettera del fotoreporter George Rodger al figlio



Mio caro Jonathan,

ho appena ricevuto la tua interessante, lettera ti ringrazio per avermi inviato alcune copie delle tue prime fotografie. Mi è piaciuta specialmente quella e hai fatto a Stonehenge in cui hai ripreso, invece delle pietre stesse, la loro ombra sul suolo. Alquanto difficile rispondere alle domande che mi poni ma farò del mio meglio e se non comprenderai subito, ciò accadrà un poco più tardi. La tua prima domanda è senz’altro la principale e credo che rispondendo ad essa lo faccia anche per tutte le altre, chiedi: – Che cosa devo fare per diventare un fotografo come te? -.
Se tu non avessi aggiunto quel “come te” in fondo alla frase, la risposta sarebbe stata per me molto più semplice. Come si può spiegare qualcosa di non tecnico, di non tangibile e che viene da dentro?
In realtà, avevo comprato un libro, scritto per fotografi principianti, che avrei voluto donarti per il tuo compleanno. Nella prima pagina dice che la luce viaggia a una velocità di 186 miglia al secondo e nell’ultima pagina dice che un’altra parte l’apparecchio non ancora analizzata è il mirino, si, poiché vuoi diventare un fotografo come me, non ti regalerò questo libro per il tuo compleanno, non lo condivido affatto. Non potrei preoccuparmi se non del fatto che la luce viaggi a 186 miglia secondo o all’ora o al giorno. E’ davvero irrilevante.

Ma invece sono convinto che il non ancora analizzato mirino è tutto ciò che c’è d’importante. Naturalmente, quando si è davvero all’inizio, bisogna imparare qualche regoletta tecnica. Lo devi fare, se vorrai esprimerti esteticamente attraverso mezzi strumenti puramente meccanici (il fuoco, diaframma, la velocità etc. etc. Ma questi dovranno diventare in fretta dei riflessi condizionati e poi dimenticati. Essi dovranno diventare per te istintivi come l’aprire la bocca per mordere una mela. Poi una volta stabilito questo automatismo, potrai concentrarti su quello che vedi nel mirino perché è attraverso il mirino che tu stabilisci il legame tra la realtà e la tua interpretazione di essa. Ricordalo. Qualunque cosa tu vedi sul vetro smerigliato della tua Rolleiflex è realtà.

La fotografia è ciò che tu fai di essa. Ciò che vedi nel tuo mirino può essere brutto. Il tuo cuore può resistere appena all’orrore di ciò che vedi o i tuoi occhi annebbiarsi per la pietà o per la vergogna. Ma è tutta realtà e tu devi sapere che cosa farne. Credo che nessuno saprebbe consigliarti come imparare ad usare la realtà, tranne dicendoti di essere sempre onesto verso te stesso, ma ciò è piuttosto vago. Certamente non puoi interpretare ciò che vedi nel tuo mirino e farne una buona fotografia, senza averlo prima compreso. Devi riuscire a provare una certa affinità con ciò che stai fotografando; devi essere una parte di esso e nello stesso tempo restarne sufficientemente distaccato per poterlo vedere obiettivamente.

George Rodger
Come guardare uno spettacolo dal mezzo del pubblico ma subito partecipandovi col cuore. Sfortunatamente non c’è nessuna formula per questo tipo di «partecipazione». E’ qualcosa che viene dall’interno. Ma puoi esercitarti in questa direzione. Dipende molto dalla tua propria personale conoscenza del mondo e dalla tua abilità a percepire ed, accettare come l’altra gente ci vive. Non andresti mai molto lontano volando in jet a destra e a sinistra, tenendo un costoso apparecchio appeso al collo come un rosario, e pretendendo che il mondo non si muova intanto che tu cerchi qualche elusiva verità. Ma monta piuttosto su una vecchia auto che sia garantita per rompersi ogni qualche centinaia di chilometri e guarda come va a finire. Qualcuno ha detto che maggiori saranno le tue difficoltà, migliore sarai tu stesso. Hai mai osservato un camaleonte? è una specie di lucertola che cambia i suoi colori accordandoli a quelli dell’ambiente: è verde nell’erba, marrone su un tronco, rosso pallido sulla latente. E’ un metodo molto utile che potresti cercare di imitare. Non intendo che dovresti diventare color caffè nel Illatapam o completamente nero nel Bangassu, voglio dire che dovresti trovare quella certa attitudine per non apparire bianco in nessuno dei due posti.

Ogni nazione, razza o tribù ha la sua morale, il suo orgoglio e la sua dignità, le sue regole e le sue abitudini e molto differenti le une dalle altre. E tu devi accettare queste cose e più le conosci e meglio è. 
Sviluppa il tuo metodo di camaleonte fino a saperti mescolare in tutti gli ambienti e sentirti veramente a casa tua sia nella capanna di un beduino che a palazzo reale. Impara le lingue, non solo quelle europee, ma arabo, swahili, urdù; ricordati di non avere mai fretta ad Est di Suez o tutti rideranno di te. Impara a mangiare con le bacchette o con le dita, senza, per amore di Allah, usare la mano sinistra. E ovunque ti trovi, evita i trucchi. Una buona fotografia è basata sulla verità e sull’integrità. Il trucco è solo un mezzo da poveri uomini per giustificare la loro mancanza di talento, la loro incapacità ci comporre una foto senza artifici.
Fa che la composizione della tua immagine sia onesta, pura, forte e ben definita. E una questione di disegno e meno complicato esso è, più piacevole risulterà all’occhio. E credo che questo sia tutto ciò che posso dirti al momento. E’ così che io la vedo e la penso e non dico di avere necessariamente ragione. Ma rifletti su tutto ciò e non avere troppa fretta. Mi ci sono voluti più di trent’anni per comprendere e chiarirmi le cose; non mi aspetto che tu le digerisca in una mezz’ora. Ma, per cortesia, non scrivermi la settimana prossima dicendomi che ciò che veramente vuoi fare, terminata la scuola, è il pilota di cacciabombardiere.
Tuo affezionatissimo padre


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